mercoledì 7 aprile 2010

Felicia, Filomena, Olimpia, Marisa e quella “lieta speranza” che rende la vita più umana

Le notizie si susseguono impetuose ed i commenti quasi le sopravanzano. Il ritrovamento dei poveri resti di Elisa Claps nel sottotetto della chiesa dedicata alla Santissima Trinità in Potenza ha prodotto un evento straordinario: l'attenzione dell'opinione pubblica nazionale su una tragica vicenda umana prima ancora che giudiziaria. Quella che sino a pochi giorni fa era per molti una scomparsa misteriosa, oggi è per tutti un omicidio efferato. Dai familiari di Elisa, stremati ma non vinti dopo diciassette anni di testimonianza civile, dignitosa e non priva di una qualche fierezza, sino agli inquirenti di oggi, senza tralasciare tanti cittadini “comuni”, tutti sono determinati a portare sino in fondo quel diritto/dovere alla verità ed alla giustizia che oggi sembra finalmente raggiungibile. Alcune evidenze arriveranno dai dati autoptici e dai rilievi della polizia scientifica e questo potrebbe disvelare persino l'identità dell'esecutore materiale del tremendo crimine, fondamentale. Altrettanto importanti saranno le domande cui l'unico indagato sarà chiamato a rispondere. Quelle domande che Felicia Genovese, PM all'epoca della scomparsa e per un lungo corso temporale a seguire, non pose all'indagato e poi imputato Danilo Restivo. Altri interrogativi, anche questi mai formulati dal signor PM, non possono più essere posti al prete che quel 12 settembre 1993 celebrò messa prima e dopo l'arrivo di Elisa nella chiesa da cui è uscita cadavere qualche settimana fa. Don Mimì è venuto a mancare da un paio d'anni, portando con sé il segreto di quel 12 settembre iniziato con le celebrazioni della domenica mattina e concluso in un centro termale da cui tornò dopo quattro giorni. Più d'uno ha visto e ascoltato Felicia Genovese interrogare gli imputati nei processi di mafia, incalzarli, metterli alle corde, sfiancarli ed inseguirli sino alla capitolazione. Qualcuno ha assistito agli interrogatori del medesimo magistrato a Danilo Restivo e Don Mimì Sabia. Registrati e ritrasmessi in questi giorni di rinnovato interesse mediatico. Toni pacati, poche domande, accenni di risposta già nella formulazione del quesito. E la conduzione delle indagini? La polizia che aspetta due ore l'autorizzazione per sequestrare i pantaloni ed il giubbotto sporco di sangue di Danilo Restivo quel 12 settembre e quell'ordine di “tornare in centrale” a mani vuote. I tabulati telefonici mai richiesti e mai acquisiti. E tutti gli errori successivi, negli anni e nelle altre indagini? Perché un magistrato esperto e determinato come Felicia Genovese commette tanti errori, perché ignora le piste sulla massoneria deviata suggerite dai carabinieri di Calanna, perché mantiene l'inchiesta sull'omicidio Gianfredi (1997) anche quando compare il coinvolgimento incolpevole di suo marito, perché non iscrive fra gli indagati l'avv. Labriola nell'inchiesta sui brogli elettorali (2005) di Scanzano Jonico? Sono domande che sono state poste da altri magistrati, alcune sono state oggetto di denuncia contro la D.ssa Genovese. Ma restano senza risposta, anche dopo l'archiviazione dei procedimenti penali. Sono domande che oggi più che mai sarebbe opportuno porre alla D.ssa Felicia Genovese e delle cui risposte la famiglia Claps, la famiglia Gianfredi, la famiglia Orioli, le famiglie dell'Associazione Penelope, la Lucania intera hanno diritto. Per riconciliarsi con quella Giustizia che non potrà restituire gli affetti prematuramente scomparsi ma che ha il dovere di individuare e perseguire i colpevoli. “Donna perché piangi?” disse Gesù a Maria di Màgdala e questa, credendolo il custode del giardino in cui era collocato il sepolcro, rispose: “Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Quante volte, quante mamme hanno chiesto solo di sapere dove fosse il corpo del figlio scomparso. Quante volte abbiamo sentito questo grido da mamma Filomena? E adesso che la preghiera è stata esaudita non v'è forse bisogno di qualcosa d'altro per pacificare quel cuore straziato? Gesù rispose a Maria chiamandola per nome: “Maria”. Come a dire sono io la risposta alla morte, alla disperazione. Sono io la promessa della vita eterna. C'è un passaggio nella celebrazione del sacramento del Battesimo che commuove solo a ricordarlo: “Dio onnipotente, che per mezzo del suo Figlio, nato dalla vergine Maria, ha dato alle madri cristiane la lieta speranza della vita eterna per i loro figli, benedica voi mamme qui presenti...”. C'è forse una promessa più grande per una madre? C'è forse una speranza più pacificante? Dobbiamo solo pregare che la grazia della Pasqua raggiunga ogni uomo, che ciascuno si senta chiamare per nome da quel Cristo che solo può aiutarci a portare il peso di tanto dolore nella lieta speranza della vita eterna per i nostri figli, per i nostri cari e persino per i nostri nemici.