sabato 19 febbraio 2011

PROCESSO IMMEDIATO ovvero Noi Cittadini di serie B



Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla Legge, lo stabilisce e garantisce la nostra Costituzione. Ma la Legge non è uguale per tutti. Infatti, coloro che la Legge devono solo applicarla, a volte, dimenticano di esserne soggetti e finiscono per interpretarla a loro piacimento rivendicando una presunta insindacabilità dell'operato che li pone al di sopra della Legge, della Costituzione e, quindi, dello Stato. Veniamo agli esempi concreti. Silvio Berlusconi è stato indagato per gravi reati, tanto gravi da richiedere misure invasive della libertà personale quali: intercettazioni, perquisizioni e sequestri. Tempo un mese e i solerti magistrati hanno chiesto ed ottenuto il processo immediato fissato per i primi di aprile. Quattro anni fa, quattro giornalisti, un editore ed un capitano dei Carabinieri furono oggetto di perquisizioni e sequestro di documenti e computer sia presso le loro abitazioni che nelle redazioni delle testate giornalistiche. Nemmeno la Caserma dei Carabinieri venne risparmiata dalla Polizia Giudiziaria agli ordini del PM, tanto erano gravi le ipotesi di reato perseguite. Mesi di intercettazioni telefoniche delle utenze dei giornalisti e del carabiniere. Anche le conversazioni di servizio e quelle in cui l'ufficiale riceveva disposizioni sulle indagini da compiere a carico degli stessi magistrati che decidevano e ascoltavano proprio quelle telefonate. L'ultima proroga delle indagini preliminari è scaduta il 31 gennaio 2009, due anni fa. Ma del processo, ovvero dell'atto di chiusura delle indagini, nemmeno l'ombra. In questi casi la Legge prevede che il Procuratore Generale disponga l'avocazione, ma il magistrato ha rigettato le richieste in tal senso e gli organismi di vigilanza e controllo (CSM, Ministero, Procura della Cassazione, Presidente della Repubblica), formalmente interessati, tacciono. È troppo chiedere lo stesso trattamento (celere) e la stessa attenzione (quotidiana) riservato a Presidente del Consiglio? Personaggi ed interpreti: Annunziata Cazzetta (PM - Mt); Massimo Lucianetti (Proc. Gen. - Pz); Pasquale Zacheo - Capitano CC; Carlo Vulpio, Gianloreto Carbone, Nino Grilli, Nicola Piccenna - giornalisti; Emanuele Grilli – editore (indagati). (tratto da "Buongiorno" pubblicazione settimanale della testata "Giornale della Sera" del 19 Feb 2011)


La casta è un sistema di stratificazione gerarchica della società. Le caste influiscono anche sulla suddivisione del lavoro, diversificando quindi lo stato sociale di ogni cultura. Il sistema della caste trovò una giustificazione religiosa nel primo dei testi sacri dell’induismo, il Rig Veda, e fu poi riaffermata nella Bhagavad-Gita, che indica come via per accedere a una condizione migliore nella successiva incarnazione, se si obbedisce alle regole della propria casta. Inizialmente le caste erano quattro: kshatriya (il re e i guerrieri), brahmani (sacerdoti), vaishya (agricoltori e mercanti) e shudra (servi); ma con l’emergere di nuove attività e gruppi sociali il sistema subì un’evoluzione e si sviluppò una serie di sottocaste o jati. Ogni casta ha il proprio dharma, ossia una serie di doveri da compiere. Si tratta perlopiù di preghiere, di servizio nei confronti della comunità, di dominio delle proprie passioni. Secondo le dottrine induiste, la casta nella quale un individuo nasce è il risultato delle sue azioni in una vita precedente. In questa visione le ineguaglianze fra gli uomini sono quindi motivate da azioni passate, ed hanno del resto un valore provvisorio, valgono cioè fino alla morte dell'individuo e alla sua successiva reincarnazione. Al di fuori delle dette classi vi sono i Paria, essi sono i fuori casta, cioè gli infimi tra gli infimi. Adesso è tutto più chiaro. Hanno ragione i Napolitano, i Violante & C., ad invitarci alla moderazione, ai toni morbidi. Noi che siamo Paria per qualcosa che abbiamo fatto in una vita precedente (e quindi ce lo siamo meritato) dobbiamo solo compiere i doveri del nostro dharma, aspettare la morte e nella prossima vita... saranno c... loro! Ma un piccolo anticipo già in questa (vita), magari, ci starebbe tutto. (tratto da "Buongiorno" pubblicazione settimanale della testata "Giornale della Sera" del 19 Feb 2011)

giovedì 3 febbraio 2011

Messico e nuvole






Il Messico non c'entra, le nuvole sì. O, forse, è il contrario. Il fatto è che c'è una gran confusione in giro ed ogni volta, prima di avviare una qualsiasi discussione o formulare un intervento occorre stabilire una base di vocaboli cui si conferisce un significato comune e condiviso. Figurarsi se si affrontano questioni, come dire, intrinsecamente impegnative quali la verità, la lealtà, la libertà. E giù con gli esempi, le domande ed i dogmi. Non certo quelli di fede che sono così chiari e precisi da non ammettere equivoci, se non quelli voluti o creati ad arte. Il 14 ottobre 2005, questa testata pubblicò un numero completamente bianco, una bianca lapide muta alla scomparsa della libertà di stampa. Allora vi erano state pressioni e tentativi di mettere a tacere questa voce. Prove tecniche di censura giudiziaria che, per la verità, sono continuate, si sono intensificate e precisate in modalità e toni che mai avremmo immaginato e che, ad onor del vero, nemmeno i Codici avevano (ed hanno) previsto. Ma siamo ancora qui e la cosa è di per sé positiva, nonostante il prezzo pagato e quello che siamo chiamati a pagare ancora. Libertà: quella cosa che se la eserciti devi necessariamente pagarne il prezzo. Siamo tanto lontani dall'idea del sacrificio, dalla possibilità (necessità) di rinunciare a qualcosa per restare liberi da arrivare all'auto censura. “La libertà, Sancho, è uno dei doni più preziosi che i cieli abbiano concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che stanno ricoperti dal mare non le si possono eguagliare: e per la libertà, come per l’onore, si può avventurare la vita” (Don Quijote de la Mancha - Miguel de Cervantes). Messico o nuvole, poco importa. Per la libertà, come per l'onore, si può avventurare la vita. (da "Buongiorno" di Filippo de Lubac)

La vita che non c’è del ragionier ‘Spino’

È da 30 anni che il ragionier Giuseppe Spinelli contabilizza vite non sue, parla con femmine che non conosce, gestisce ville dove non è mai stato, riceve dozzine di messaggini da bimbe che non gli chiedono mai “Ragioniere come sta?”, ma solo “Quando, quanto?” e al massimo gli concedono la piccola delizia di certi diminutivi, tipo Spin, Spino, Spinaus. Due volte al mese entra nella filiale del Monte dei Paschi di Milano 2 e ne esce con “il cappotto foderato di denaro” (Ruby dixit) da 500 a 800 mila euro in contanti. Che non sono mai per lui, ma per il Dottore, cioè il Presidente, cioè il titolare della sua puntigliosa aritmetica. Di lui non esistono foto, né (quasi) interviste. Si sa che sta per compiere 70 anni, è nato a Settala, vive a Bresso. Ha avuto inconvenienti con la giustizia per abusi edilizi, mai compiuti da lui, né per suoi vantaggi. Ne è uscito con batterie di avvocati non suoi. Perché anche i guai e la soluzione dei guai sono sempre il riverbero di chi gli paga i gesti, i sogni e il destino. Ha una moglie, che in questi giorni concitati ha morso un paio di cronisti ficcanaso: “Andate via, mio marito non c’è”. Suo marito (invece) c’è sempre. È la sua vita che da 30 non c’è più. (Il Fatto Quotidiano, 3 febbraio 2011)