giovedì 6 dicembre 2012

Il silenzio delle Università sull'abuso della Corte Costituzionale

“Quando nelle Università i docenti tacquero sulle leggi razziali, si ebbe la certezza che gravi lutti sarebbe costato il ripristino della democrazia”!

C'è da meravigliarsi che il sale sia salato? Ed allora, perché tanta meraviglia che la Consulta si sia inventata una Legge per coprire le telefonate tra l'imputato Nicola Mancino ed il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano?
Sono alcuni anni, caro Direttore, che assistiamo a questi ed anche a più gravi accadimenti in materia di applicazione delle Leggi e di rispetto del principio costituzionale dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla Legge. Tanto nei casi in cui i cittadini siano oggetto di indagine, quanto in quelli in cui indossino le opposte vesti di danneggiati da reati di cui sono o si ritengono vittima.
Il sale, in tutti questi anni, ha coinciso sempre con un principio non enunciabile quanto ineludibile: sul rispetto della Legge, anche quella Costituzionale, prevale la decisione delle corporazioni con ciò significando raggruppamenti a volte esplicitamente istituzionalizzati: ANM, CSM, Ordini Forensi; altre volte semplicemente dichiarati: l'area cattolica, gli onesti, quelli dei valori; il più delle volte solo intuibili perché confinati astutamente nel biasimato girone del complottismo. Come quel giovane maiale in un allevamento intensivo del modenese che, approssimandosi la stagione fredda, ebbe a confidare al suo vicino di mangiatoia: “sai, mi hanno detto che siamo tutti destinati al macello. Infatti ho notato che l'età media coincide con la nostra età, nessuno di noi ha genitori in vita ed il cimitero dei maiali è vuoto”. L'altro, grufolando nel mangime appena rinnovato e senza smettere d'ingozzarsi, gli rispose biascicando: “Non dar retta a nessuno, quelli sono i soliti complottisti. Ti pare che se volessero ammazzarci ci darebbero da mangiare cinque volte al giorno”?
Quello che è più grave, poi, è che il mondo accademico, gli studiosi del diritto non facciano sentire la loro voce. Loro, non sono gli indagati ovvero gli imputati portatori di un interesse personale da tutelare a pena di gravi rischi. Loro, non sono i rappresentanti delle istituzioni di nomina politica o presidenziale, chiamati a rendere conto al nominante di prebende e carriere magari immeritate o semplicemente accelerate. Loro, non sono coloro che avendo qualcosa di cui vergognarsi per cui soggiacere a ricatti o minaccia di ricatto, giustificano alla propria coscienza una penna svogliata o una atrofia cerebrale. Loro, in massima parte almeno, sono gli uomini di scienza, di quella scienza che si dichiara essere libera e protesa al vero. Nel caso specifico sono gli uomini della scienza giuridica e giurisdizionale che dovrebbero difendere, testimoniare e sviluppare. Se tacciono cotanti scienziati, oltre agli avvocati, ai magistrati ed ai professionisti della materia, c'è da temere il peggio poiché è lecito domandarsi quali allievi si formeranno da simili maestri. Quale spirito potranno mai trasmettere e quale insegnamento!
Abbiamo assistito ad atti giudiziari illegittimi ed illegali oltre ogni minimo livello di decenza giuridica e istituzionale. Su tutti ha taciuto il Presidente e, quando non ha taciuto avrebbe fatto meglio a tacere. Alcuni magistrati di Catanzaro, indagati e soggetti a perquisizione personale, disponevano con atto a propria firma il sequestro di quanto era stato loro sequestrato.
Alcuni magistrati di Matera, sistematicamente, registravano le conversazioni del magistrato di Catanzaro che indagava su di loro, arrivando persino a disporre accertamenti di polizia giudiziaria sulle telefonate in entrata ed in uscita dalla stanza d'albergo che quel magistrato utilizzò in occasione delle perquisizioni a carico dei vertici della Procura e del Tribunale di Matera. Un magistrato di Catanzaro ha smantellato i faldoni di un'inchiesta dopo che era stato depositato l'atto di chiusura delle indagini, trasformando anni di lavoro sistematico che vedeva indagati e prossimi al rinvio a giudizio alti magistrati, politici, massoni e membri delle forze dell'ordine in una poltiglia informe degna della archiviazione. Abbiamo assistito alla stagione delle Leggi e dei Decreti ad Personam, alcuni persino firmati dal Quirinale. Cosa c'è da meravigliarsi che il Presidente pretenda ed ottenga la distruzione delle conversazioni tra lui e un indagato nel processo sui presunti accordi fra Stato e Mafia?
Anche persone di medio intelletto come chi scrive, comprendono la grave assurdità di questi atti e delle connesse decisioni. Forse esiste una “ragion di Stato” che a noi sfugge? Una giustificazione che spinge i Supremi custodi della Costituzione a violarla? Ma chi ha dato loro il potere di porsi al di sopra della Costituzione e chi l'ha data al Presidente della Repubblica?
Quello che sembra non comprendere la gente comune e nemmeno quella meno comune è che il pronunciamento della Consulta conferisce un potere enorme e incontrollato al Pubblico Ministero, quello di distruggere a sua esclusiva discrezione atti d'indagine. Immaginiamo che un terrorista internazionale telefoni al Presidente della Repubblica (fra cent'anni) ed i due si accordino per collocare una bomba sotto la poltrona del Presidente del Consiglio. Immaginiamo che quel terrorista sia intercettato e che la telefonata finisca dal PM. Immaginiamo che si tratti di un PM pazzo, aderente ad una organizzazione segreta ostile al Presidente del Consiglio. Secondo il parere della Consulta, pronunciato cent'anni prima, il PM pazzo distruggerà il nastro o, quantomeno dichiarerà di averlo distrutto (perché abbiamo detto che è pazzo e non che è fesso!). Poi, dopo che la bomba avrà fatto quello per cui è stata posizionata, quel PM andrà dal Presidente e dirà: “Stimato Presidente, Le consiglio di darmi l'incarico di formare il Governo e di spiegare ai partiti che occorre un governo tecnico, altrimenti quel nastro...”. È solo fantascienza, naturalmente. Ma la Consulta la rende una eventualità possibile concretamente con tutte le migliaia di varianti che si possono immaginare e... temere.
Nicola Piccenna