giovedì 17 gennaio 2013

Petizione al Capo dello Stato, On. Giorgio Napolitano, nella sua veste di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura: chiediamo a tutti i magistrati Italiani se sono affiliati alla Massoneria:





sabato 12 gennaio 2013

Scusi Dr. Vincenzo Autera, lei è massone? Scusi Dr. Paolo Petrolo, lei è massone? Così, tanto per capire!


Scusi Dr. Vincenzo Autera, lei è massone? Scusi Dr. Paolo Petrolo, lei è massone? Così, tanto per capire!



Non ci sarebbe nulla di male, sia beninteso. Lo stesso presidente Napolitano usa esprimere familiari auguri e sentimenti cordiali al Gran Maestro di turno. Ma sarebbe utile capire, avere qualche risposta a questioni che aleggiano da alcuni anni. Almeno dal 2007, da quando, in una telefonata intercettata tra un giornalista di cui il PM Annunziata Cazzetta ed il Gip Angelo Onorati erano all'affannosa ricerca delle fonti, qualcuno disse che Vincenzo Autera (magistrato della Corte d'Appello di Potenza) ed Emilio Nicola Buccico (avvocato materano) erano in forza ad una loggia estera. La fonte, in quel caso, era un appartenente alla Massoneria noto per questa sua legittima adesione, ma nessuno ritenne di approfondire la questione e tutto rimase in un nastro ed in qualche foglio di trascrizione. Sembra che solo a nominarla, la Massoneria crei imbarazzo.
Poi, molto poi, si accertò che tutte quelle intercettazioni, Cazzetta ed Onorati le avevano disposte e tenute illecitamente e nel giugno 2012 un giudice stabilì di trasferire il procedimento a Catanzaro. Anche lì, Vincenzo Autera aveva un precedente: indagato per associazione mafiosa dal 2007 al 2009 (ma l'iscrizione originaria, a Firenze, era del 2005), procedimento archiviato. In quei quattro anni, nessuno aveva comunicato l'iscrizione di una ipotesi di reato così grave alla Procura presso la Corte di Cassazione. Il che è gravissimo, pare!
Anche Cazzetta era ben nota a Catanzaro, alcune decine di procedimenti la vedevano indagata per reati anche gravissimi. Quasi tutti definiti con archiviazione, alcuni pendenti. Ma tutti senza alcuna attività d'indagine, almeno tutti quelli tenuti dal PM Paolo Petrolo: più che un magistrato inquirente si potrebbe definire un magistrato paragnosta. Tranne che per l'identità degli indagati (se magistrati), che suole iscrivere nell'imminenza della formulazione della richiesta di archiviazione, per il resto i fascicoli appaiono scevri di qualsivoglia attività ma motivati da potenti precognizioni. Significativo il caso in cui si accertò la mancanza di oltre cento faldoni che, secondo il Gip, non avrebbero potuto contenere alcun elemento utile a modificare la decisione di archiviare. Quasi che quegli atti d'indagine che nessuno aveva potuto visionare fossero carta straccia. Che a Catanzaro la preveggenza non sia una virtù, lo si scopre attraverso una recentissima inchiesta della Procura di Salerno.
“La ‘ndrangheta non esiste più, fa parte della massoneria. Abbiamo amicizie: medici, avvocati, politici, giudici, commissari”, la frase è di un noto boss della 'ndrangheta ed è intercettata dalle microspie dei Carabinieri del ROS di Salerno. Il collante è proprio l'appartenenza alla massoneria. Massone è anche il magistrato /Gip) Giancarlo Bianchi che di favori, secondo la Procura di Salerno, ne distribuisce più d'uno. E qui ritroviamo il PM Paolo Petrolo, parte de “l'ingranaggio” a disposizione della  'ndrangheta. Un sistema di contatti, che ruota attorno al giudice Bianchi e a due
sostituti procuratori della Dda di Catanzaro: Giampaolo Boninsegna e Paolo Petrolo.
Per questi tre magistrati, il PM di Salerno aveva chiesto l'interdizione: negata! Se fossero stati semplici poliziotti sarebbero stati arrestati ma non tutti nascono col cappuccio.
Resta un'ultima domanda, questa al Dr. Paolo Petrolo: scusi, lei è massone?
di Nicola Piccenna


sabato 5 gennaio 2013

Mennuti Antonio, Di Bello Giuseppe: eroi di ieri nella Lucania di oggi

Il Giudice condanna perché è “Irrilevante accertare
 
la verità dei fatti”; ovvero quando dell'esercizio
 
giurisdizionale c'è da vergognarsi

Mennuti Antonio e Di Bello Giuseppe sono due cittadini lucani, come tanti altri (non tantissimi, si sa che molti emigrano). Per anni sono stati al servizio delle istituzioni in quello specifico settore della pubblica sicurezza che tanto è indicativa della civiltà di un Paese. Il primo nella Polizia di Stato, il secondo nella Polizia Provinciale. Recentemente sono stati oggetto di provvedimenti indicativi del clima che da anni si respira in Basilicata, immondezzaio d'Italia per interessi inconfessabili e terra di sfruttamento per vocazione politica.
Al signor Mennuti Antonio viene contestato di aver affisso, nella bacheca della Polizia di Stato a Potenza, una comunicazione sindacale diffamatoria nei confronti di un dirigente di quella Polizia. Precisa, la sentenza, che: “nel giudicare il caso specifico, non abbia alcuna rilevanza l’accertamento della verità o meno dei fatti attribuiti dall’imputato alla parte lesa” e questo a noi Lucani può bastare per quanto diremo in seguito. Contro Di Bello si è costituita parte civile l'associazione nazionale dei funzionari della Polizia di Stato. Associazione che non si è costituita quando quel Dirigente era sotto processo per peculato d'uso, poiché usava il telefonino di servizio per chiamate ed sms “strettamente personali”! Il relativo processo si è concluso con l'assoluzione, ma chi ha ascoltato quelle migliaia di chiamate e letto quelle centinaia di sms non può che constatare l'ostentazione bizantinistica insita in certe sentenze. Per molti non è riprovevole colui che lo scandalo lo commette ma quelli che lo denunciano, come se l'onorabilità fosse un esercizio d'ipocrisia ben riuscito piuttosto che la conseguenza di comportamenti limpidi e corretti.
Al signor Di Bello Giuseppe, a cui il Signor Prefetto Illustrissimo ha ritirato “il distintivo”, si contesta di non avere più la stima dei suoi compaesani e, per un poliziotto, questo costituisce effettivamente un limite invalicabile.
Quali sono i fatti la cui verità non è rilevante accertare nel “caso” Mennuti? Sono quelli di cui tutti i Lucani hanno letto e che rilevano non da congetture o teoremi giudiziari, bensì dalle intercettazioni telefoniche che svelavano aspetti inquietanti ed espressioni irriferibili ed ignominiose. Ordinario standard della vita professionale di “quel” dirigente. Viene da chiedersi se l'illustrissimo signor Prefetto non voglia effettuare una verifica sulla stima e sulla considerazione che i Lucani hanno di quel Dirigente. Ne trarrebbe l'inevitabile conseguenza che occorre ritirargli il “tesserino”, ma di questo caso al Prefetto non sembra importare un fico secco.
Di Bello Giuseppe, invece, avrebbe perso la fiducia dei Lucani perché, insieme con Maurizio Bolognetti segretario dei Radicali di Basilicata e perennemente vocato a farsi i fatti degli altri (in altri tempi si chiamava bene comune, ma in Basilicata è un delitto per cui meritare perquisizioni e processi), ha scoperto e fatto conoscere una quantità impressionante di depositi inquinanti e risorse inquinate. Giustamente, secondo Sua Eccellenza il Prefetto, i Lucani devono averlo in pessima considerazione. Specie coloro che vivono nei pressi della discarica di fosfogessi e che prima, magari, ci andavano a fare le scampagnate e adesso non possono più. O, magari, tutti coloro che innaffiano con l'acqua del Pertusillo e adesso sanno che contiene certe quantità di petrolio e suoi succedanei. Vuoi mettere coltivare un'insalata e mangiarsela sapendo che è perfettamente naturale e, diversamente, domandarsi se è il caso persino di raccoglierla?
Mennuti e Di Bello, due eroi loro malgrado che dimostrano quanto difficile sia la situazione in Basilicata. Altri due che si aggiungono ai tanti che si battono ogni giorno per non lasciare questa Regione nelle mani di una classe politica che, nel migliore dei casi, ha svenduto le risorse regionali per un piatto di lenticchie (ai lucani) lasciando dubbi su operazioni di alta finanza petrolifera che, ancora oggi, suscitano tanti preoccupanti interrogativi e nessuna risposta.
di Filippo de Lubac