Che fossero nudi, Adamo ed Eva, è un fatto. Addirittura un fatto costitutivo, erano stati creati così. Da questo dato oggettivo scaturiva un comportamento consequenziale: giravano nudi per il giardino dell’Eden. Così, quando ebbero a nascondersi all’arrivo del Creatore, Dio pose ad Adamo la domanda: “Chi ti ha detto che eri nudo”? Cioè, “da dove nasce il tuo giudizio morale”? Era appena nato il moralismo. La pretesa di possedere l’origine del giudizio: “Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene ed il male”. La pretesa moralistica, il singolo uomo arbitro e fonte della morale (conoscere il bene ed il male), stabilisce la divisione delle divisioni: la frattura fra la morale e l’origine della morale, fra l’uomo ed il creatore dell’uomo, fra la libertà e la natura della libertà. L’interruzione diabolica di questo rapporto (dia-ballo= dividere, separare) avviene stabilendo una nuova sorgente dell’azione: l’uomo da solo decide cosa è opportuno, cosa è lecito e cosa è impudico: “ero nudo e mi sono nascosto”. Il moralismo si mostra come una verità incontrovertibile, oggettiva: davvero erano nudi, tanto che contro il moralismo si fa fatica a trovare argomentazioni consistenti, almeno in prima battuta. Poiché la separazione dell’uomo dalla sua stessa natura (fatto a Sua immagine e somiglianza) lo rende incapace di atti ontologicamente morali. È nell’esperienza, quando si affronta la realtà, che ci si accorge di tutti i limiti di una posizione moralistica. Nascono così i partiti degli “onesti”, i profeti della “pubblica moralità”, le patenti di “uomini perbene”. E chi decide chi è dentro e chi fuori? Apparentemente si demanda ad una teoria di regole. Chi ti ha detto che eri nudo? La tabella tale, il codice etico, lo statuto del partito o dell’associazione, il casellario giudiziale. Invero l’esigenza di giustizia, di verità, di bellezza, in una parola di libertà, è talmente umana, talmente radicata nella natura stessa di ciascuno di noi da emergere insopprimibile anche nella situazione di divisione in cui siamo precipitati quando abbiamo posto a fondamento della vita e dei rapporti il moralismo, la nostra pretesa di incardinare l’origine del giudizio nella nostra personale conoscenza del bene e del male prescindendo dall’esperienza, in una sequenza di regole astratte, di leggi, di assunti. La nostra vera umanità riconosce e desidera aderire alla natura ultima del nostro essere. In pratica, realmente siamo in grado di distinguere il bene dal male solo che ci affidiamo a quello che il cristianesimo chiama il “cuore”: il contraccolpo che suscita in noi l’esperienza, il paragone con la realtà. “Ha mentito, è umano. Ha rubato, è umano. Ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, umano è essere buono, umano è essere un uomo della giustizia e della prudenza vera, della saggezza” (Benedetto XVI). Qualche esempio chiarisce meglio di tanti discorsi. La legge prevedeva che in occasione della Pasqua un condannato a morte ricevesse la grazia. Fra Gesù e Barabba fu scelto il secondo. Dovendo distribuire la propria eredità, un genitore sceglie di fare parti uguali anche se un figlio è immensamente ricco, e l’eredità nulla cambia nella sua condizione, e l’altro assolutamente povero. “L’ingiustizia più grande è dividere in parti uguali fra diversi” (Don Lorenzo Milani). Non è immorale (o morale) l’uomo, lo sono le sue azioni che non vanno giudicate in base ad un decalogo bensì in relazione all’esperienza, al paragone con le esigenze del “cuore”. Così non è umano attribuire la patente di “onesti” ad una lista di candidati scelti sulla base di un certificato del casellario giudiziario allo stesso modo in cui non è umano riconoscere il passpartout a chi “assicura” gli interessi della “mia” parte abusando dell’altra. “Chi ti ha detto che eri nudo”?, questa è la domanda che mette in crisi i moralisti dell’una e dell’altra parte!
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