lunedì 26 gennaio 2015

Il degrado della Giustizia: Chieco e il Villaggio dei Turchesi

Il degrado della Giustizia: Chieco e il Villaggio dei Turchesi

Dopo Emilio Nicola Buccico, per numero di querele presentate, ma con un certo “distacco”, ecco collocarsi Giuseppe Chieco (all'epoca) Procuratore Capo presso la Procura della Repubblica di Matera.
Vi era certo una qualche forma di emulazione se, come accertò la Guardia di Finanza di Catanzaro durante una perquisizione eseguita nell'abitazione materana del Chieco, nel suo personal computer venne rinvenuto un file contenente il testo di una querela del Buccico che, ammise Chieco, egli intese utilizzare quale spunto per redigerne una a sua firma. Di questa querela narreremo in seguito, poiché si tratta di un procedimento tuttora in corso in sede di appello.o “distacco”, ecco collocarsi Giuseppe Chieco, all'epoca Procuratore Capo presso la Procura della Repubblica di Matera.
Siamo nei primi mesi del 2007 e la vis querelatoria contro gli articoli de “Il Resto” tocca il suo apice. Praticamente per ogni uscita (settimanale) vengono presentate una o più querele. A volte lo stesso articolo viene querelato da più persone ed invocando la competenza di diverse Procure. Il risultato è una moltiplicazione dei procedimenti penali cui seguirà una moltiplicazione delle udienze.
Tutti i procedimenti terminati con sentenze oppure ordinanze definitive, si sono conclusi con l'affermazione dell'innocenza dei giornalisti. Ma, il vero paradosso, è che per alcuni procedimenti “doppi”, sorti cioè dalle medesime doglianze, per gli stessi articoli, con coincidenza dei querelanti, i giudici delle udienze preliminari hanno continuato a disporre i rinvii a giudizio. Per cui, tra le tante storture che limitano la possibilità di continuare a svolgere il nostro lavoro di giornalisti, vi è anche quella di dover rispondere ai giudici per delitti certamente non commessi per i quali è impossibile che non si arrivi all'assoluzione per “ne bis in idem”. Appare chiara la conclusione da trarre sul perché un giudice, informato attraverso le formalità di rito, rifiuti di prendere atto dell'inutilità di proseguire nel processo con ulteriori udienze, citazioni, testimonianze, carte, carte e ancora carte; a volte persino in bollo!
Nel presentare il procedimento 2544/2007 presso il Tribunale di Catanzaro, nulla si deve aggiungere agli atti ufficiali del fascicolo, culminanti con una sentenza chiarissima. Solo il rammarico che, a distanza di otto anni e dopo un proscioglimento divenuto definitivo a maggio 2014, noi giornalisti siamo ancora sotto processo (per gli stessi articoli, su querela dello stesso Chieco, presso lo stesso Tribunale, su richiesta della stessa Procura).
Il Giudice dell'Udienza preliminare è chiarissimo: “...Orbene manifesta è, alla luce di tali emergenze, la veridicità del contenuto degli articoli dedicati all'argomento appena esaminato e ciò anche alla luce delle stesse ammissioni del diretto interessato... Acclarata la verità storica delle notizie divulgate, pacifica appare l'operatività nella vicenda in esame dell'esimente del diritto di cronaca giudiziaria anche nella forma putativa atteso l'evidente interesse sociale delle notizie pubblicate e, comunque, l'assenza negli articoli redatti dal PICENNA di contumelie o offese gratuite finalizzate a immotivatamente aggredire la sfera personale del soggetto passivo. Consegue da quanto detto che, in favore degli odierni imputati, va emessa una sentenza di non luogo a procedere \n ordine al delltto loro contestato perché il fatto non costituisce reato...”.
La Procura di Catanzaro, chiede il rinvio a giudizio senza aver svolto alcuna indagine circa la fondatezza delle notizie riportate negli articoli contestati. Scrivere di un magistrato costituisce diffamazione “a prescindere”, anche se si scrive il vero, come in questo caso. Poi occorrono sette anni per venirne fuori!
Diversamente, il Dr. Chieco è andato tranquillamente in pensione senza aver mai dovuto rispondere di quei comportamenti e degli atti da lui assunti in veste di Procuratore Capo di cui chiedevano conto gli articoli pubblicati. Richiesta che tanto lo aveva disturbato spingendolo a querelare ingiustamente, poiché tutto quanto riportato era, e si è dimostrato, assolutamente vero.

consulta gli atti all'indirizzo:

domenica 25 gennaio 2015

Emilio Nicola Buccico e le molestie inesistenti

Emilio Nicola Bucicco si duole del fatto che sul marciapiede di una pubblica strada della città di Matera si sia incrociato con Nicola Piccenna, giornalista. Questi non gli ha rivolto la parola, nemmeno gli ha indirizzato gesti e attenzioni di sorta. Ma l'avvocato lamenta molestie inesistenti, come accerterà la Procura in seguito alla improvvida querela. Emerge dagli atti che l'infondata querela di Buccico produce un discreto carico di lavoro per gli uffici giudiziari della Procura di Matera che verbalizzano quattro interrogatori e tutti gli atti necessari all'apertura e archiviazione del fascicolo impegnando il Pubblico Ministero, il Giudice delle Indagini preliminari, Ufficiali di Polizia Giudiziaria, Cancellieri e ufficiali giudiziari. Tempi e costi che gravano sul sistema giudiziario per una querela che lamenta un fatto non costituente alcuna reato, come si legge nel testo della richiesta di archiviazione accolta dal GIP: "Infatti, il posizionarsi vicino ad una persona, in una pubblica via, senza peraltro infastidirla in altro modo, non pare comportamento penalmente rilevante".
L'avvocato Emilio Nicola Buccico certamente conosce la Legge Penale, perché presentare una querela per un fatto non penalmente rilevante?



Piccenna e la diffamazione che non c'è: Felicia Genovese

Proc. Pen. 1775/2006 RGNR Catanzaro: querelanti Genovese Felicia e Cannizzaro Michele


Procedimento sorto in seguito alla querela, per diffamazione a mezzo stampa, presentata il 9/5/2006 da Felicia Genovese (all'epoca sostituto procuratore in servizio presso la Procura Distrettuale Antimafia di Potenza) ed integrata dalla successiva querela del19/10/2006 a firma della stessa Genovese e di Michele Cannizzaro (all'epoca direttore generale dell'Azienda Ospedaliera "San Carlo" di Potenza), suo marito.
Gli articoli querelati erano stati pubblicati sul "Giornale della Sera" numero di aprile 2006: "Cuginanze Giudiziarie" e sul settimanale "Il Resto" del 23/9/2006 "Alla resa dei conti".
Dopo la conclusione delle indagini, 16/2/2007 a meno di 4 mesi dall'ultima querela, il PM a chiede il rinvio a giudizio per il giornalista ed il Direttore Responsabile.

Il 7/2/2008, il Giudice dell'Udienza Preliminare dichiara il non luogo a procedere perché il fatto non sussiste:"Ne consegue l'inconfigurabilità del reato contestato, in presenza di tutti i presupposti per l'applicabilità dell'esimente del legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica nei confronti dell'operato degli organi giudiziali (verità del fatto, continenza del linguaggio, interesse generale alla conoscenza della notizia, assenza di pretestuosi attacchi morali alla persona...".
La sentenza è irrevocabile!

2006-05-09_PP1775-Cz_prima_querela
2006-10-19_PP1775-Cz_seconda_querela
2007-02-16_PP1775-Cz_avviso_conclusione_indagini
2008-02-07_PP1775-Cz_sentenza_proscioglimento


Giornale della Sera (Aprile 2006): "Cuginanze Giudiziarie"

(Il giornalista Nicola Piccenna) Passerà la vita a difendersi: purtroppo per loro!

Cari amici, nemici e lettori occasionali,
la frase più terribile ed al tempo stesso più esplicativa dello stato della giustizia in Italia è quella pronunciata da Giuseppe Chiaravalloti, magistrato e politico e vice presidente dell'autorità Garante della Privacy e avvocato generale della Procura Generale di Catanzaro e Procuratore Generale a Catanzaro e Procuratore Generale a Reggio Calabria e.. tanto altro.
Parlava del magistrato Luigi de Magistris e spiegava la strategia per renderlo inoffensivo o, meglio, per fargli pagare l'aver disturbato tanti personaggi importanti.
Il disturbo era consistito nell'aver svolto indagini giudiziarie (l'azione penale in Italia è obbligatoria per dettato costituzionale!).
Chiaravalloti dice chiaro chiaro che esiste un metodo (sperimentato) per impedire ad un cittadino italiano di esercitare i diritti costituzionali ed i doveri etici e morali propri di una coscienza civile adulta: scaricargli addosso una grande quantità di procedimenti giudiziari cosicché il malcapitato sia costretto a difendersi, cioè a dedicare grande parte del proprio tempo (della propria vita) ad attività inderogabili che gli impediscono di fare altro.
Per molti versi, è una condanna peggiore di qualunque altra perché, senza nemmeno arrivare al primo grado, stabilisce la certezza della pena e la pone in essere senza possibilità di sconti o rimodulazioni.
La pena consiste nel dover preparare decine di processi, partecipare a centinaia di udienze, leggere migliaia (decine di migliaia) di cartelle per poi ottenere una qualche assoluzione, prescrizione, archiviazione che arriverà troppo tardi per perseguire le calunnie dei querelanti.
Quando a denunciare è un magistrato, un politico di un certo peso, un membro del CSM, il procedimento penale cammina spedito, le intercettazioni telefoniche sono intensive e durano a lungo, la richiesta di rinvio a giudizio è pressoché scontata.
Quando il denunciato è un magistrato, un politico di un certo peso, un membro del CSM, il procedimento non cammina affatto, nessuna indagine, nessuna intercettazione, la richiesta di archiviazione è certa a meno che non vi siano evidenze tali da richiedere quel congruo ritardo necessario a far maturare la prescrizione.
Per i procedimenti disciplinari a carico dei magistrati, poi, il meccanismo è ancora più semplice. Si procede cercando di evitarli del tutto, basta che la Procura che procede penalmente nei confronti di un magistrato si dimentichi di comunicarlo alla Procura Generale presso la Suprema Corte di Cassazione: occhio non vede, cuore non duole. Quando, invece, la comunicazione arriva, magari perché è un cittadino a segnalare la cosa, allora si attua la strategia "b" che consiste nel lasciar trascorrere un anno senza avviare il relativo procedimento disciplinare. Tanto dura il termine di prescrizione per le mancanze disciplinari! Un anno e il magistrato è salvo.
Un corollario degno di nota è quello che riguarda l'accesso ai procedimenti penali e disciplinari. L'autorizzazione per l'accesso agli atti, anche per il richiedente che è parte di quei procedimenti, la deve rilasciare un magistrato, a volte lo stesso che per quei procedimenti è indagato o soggetto al procedimento disciplinare. Negare comporta un attimo, opporsi ed ottenere gli atti è fatto di mesi ed anni.
Non è stata udita la voce di Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica che tutti questi fatti ha vissuto nei panni del supremo vertice istituzionale politico e giurisdizionale, nemmeno quando formalmente richiamato alle responsabilità cui non poteva sottrarsi.
Non è stata udita voce alcuna, tra i tanti illustri giuristi, professori, politici e dall'Associazione Nazionale Magistrati che abbia spiegato quale fondamento giuridico, logico e ordinamentale consente ad un magistrato di sequestrare il materiale che gli è stato appena sequestrato nel corso di una perquisizione (essendo egli indagato per gravissime ipotesi di reato in associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari e molto altro).
Fin qui, ragionamenti che tutti conoscono, molti condividono, alcuni sostengono e, come accade nell'Italia di cultura bizantina, altri contraddicono dialettizzando all'infinito di Leggi, Diritto e Sofismi.
Tornando alla "tecnica Chiaravalloti", questa appare ancora più opportuna e ficcante quando la persona da rendere inoffensiva è un giornalista. Perché, queste distorsioni del sistema democratico, possono continuare a funzionare solo se restano sconosciute o, meglio ancora, circoscritte alle discussioni infinite dei bar o dei corridoi dei tribunali.
Il guaio peggiore che è capitato a Chiaravalloti è consistito nella pubblica conoscenza di quel suo modo di pensare (e di agire?) come pure della bassezza umana delle sue considerazioni personali sulla vita privata di un suo collega magistrato.
La conoscenza, l'informazione cui i cittadini hanno diritto e che i giornalisti hanno il dovere di promulgare, è l'unico antidoto ai malanni che possono aggredire l'organismo democratico della società civile.
Per questo motivo, un modesto pubblicista di un piccolissimo giornale di provincia diventa (forse) il più querelato e processato giornalista della storia d'Italia: fortunatamente!
Sì, fortunatamente!
Poiché, quel giornalista, ha raccolto la più organica e completa documentazione sul funzionamento della macchina giudiziaria Italiana che, si dimostra con gli atti, non ha necessità di Leggi o modifiche costituzionali almeno fino a quando sarà consentito dal Presidente della Repubblica all'ultimo Pubblico Ministero di violare la Legge impunemente, confondendo il dettato costituzionale secondo cui il magistrato "è soggetto solo alla Legge" con una quasi simile ma radicalmente diversa statuizione per la quale il magistrato "è il solo soggetto della Legge", cioè modella la Legge a suo uso e consumo.
Questa documentazione, consacra alla storia i nomi dei responsabili di un sistema giunto ad un altissimo livello di degrado, senza con ciò avere la pretesa e forse nemmeno la speranza che tanto serva a migliorare o ripristinare almeno una parvenza di autorevolezza dell'istituzione.
Ci accontentiamo della "Damnatio Memoriae" che, trascorso ancora qualche anno, lascerà una testimonianza perenne dei tempi difficili e bellissimi cui abbiamo assistito non da spettatori passivi.